venerdì 11 aprile 2008

Benvenuti nella prima aiuola del giardino di Parole in Rete.


Eccomi ancora in Italia.

Dopo un vaievieni di circa tre anni tra l’Italia e l’Africa Subsahariana, per la precisione in Mozambico riprendo a scrivere nel e del mio Paese. Durante l’assenza dall'Italia, a parte qualche fetor di “monnezza” che è arrivato a lambire persino quei lontani lidi, ho perso la quotidianità con il vissuto dello stivalone. Onestamente non speravo che al mio ritentro le antiche italiche malattie fossero guarite, ma questa confusione babelica non me l’aspettavo di certo e il clima pre-elettorale non contribuisce certo a fornire chiarezza per ciò che ci aspetta nel prossimo futuro.
Il messaggio che arriva al povero ex "straniero" che arriva in Italia è davvero devastante. Sembra che un qualche pazzo abbia messo in un sacco tutto e il contrario di tutto e che ce lo tiri addosso, al di là da ogni senso e soprattutto al di fuori da ogni luogo. Un miliardo di tessere di un milione di puzzle che ci piovono nella testa senza consentirci di costruire un qualsiasi disegno sensato.
Qualche esempio: tornando alla monnezza. Tutto il mondo è stato invaso dalle notizie e buona parte della Campania anche dai fetori, ma nessuno ci dice cosa si sta facendo per risolvere il problema, ne quello dell’emergenza, ne quello della prevedibile gestione a regime. Le mozzarelle di bufala campane sono diventate delle bufale che fanno suonare le campane a morto su un buon pezzo di Made in Italy. Nel bel mezzo di Vinitaly espèlode la notizia di una nuova puntata della sofisticazione sul vino da tavola italiano, dal titolo: Metanolo 2, la vendetta. Ma l’unica risposta che arriva è che: “i cinesi sono peggio di noi”. Sai che consolazione. Non parliamo poi della situazione politica, anche in vista delle elezioni di ogni ordine e grado. Qui la sarabanda è davvero mangime pregiato per cabarettisti e battutisti di tutte le risme.
I Piccoli, grandi e infinitesimali protagonisti della lotta politica tentano, più male che bene di semplificare, accorpare, definire, unificare…e il povero elettore, nella solitudine della cabina elettorale, si troverà di fronte ad una torre di Babele di simboli da mandare in crisi il più preparato esperto di marketing politico. Due o più simboli scudocrociati, accompagnati da un nugolo di democristiani trasversali, qualche socialista sparso, i comunisti poi, con o senza falce e martello non si contano più, liberali, libertari e liberisti si confondono in un magma che chi ci capisce è bravo. Senza poi parlare dei simboli più strani e personalistici. Ci manca vota la Lista “zia Caterina che e’ tanto brava a fare le crostate”, e poi abbiamo visto tutto. E in tutto questo caravanserraglio ad un certo punto se ne viene fuori come dal cappello di un prestidigitatore folle la “DC di Pizza”, (esattamente con questo appellativo hanno chiamato la Lista i principali telegiornali del Paese). Una Margherita che potrebbe, a rigor di Legge, mandare per aria le elezioni e farle rimandare sine die, perchè la ormai famosa DC di Pizza, ammessa dal Consiglio di Stato a partecipare all’agone elettorale, non avrebbe avuto il tempo per dire la sua nei telegiornali, come hanno invece fatto tutti gli altri…si fa per dire. Poi bisognerebbe ristampare di nuovo tutte le schede, i manifesti e tutti gli altri documenti elettorali con il simbolo della DC di Pizza, che, finalmente abbiamo capito che non è rappresentata da una bella quattrostagioni con mozzarella di bufala campana, ma dall’antico simbolo della Democrazia Cristiana. Si proprio lui, quello della DC di Forlani, di DeMita, di Andreotti…e che adesso ha fatto una sfolgorante carriera per diventare la DC di Pizza. Oh, finalmente abbiamo capito. Che ridere.
Ma non finisce qui. A Pochi giorni dalla competizione elettorale, da tutte le parti se ne viene alta e forte la voce per cui le schede elettorali sarebbero un pateracchio ingestibile. Un pateracchio ingestibile decretato per Legge dal precedente Governo delle Libertà, risponde il Ministro Amato. Ma anche qui non succederà niente se non, probabilmente, un motivo in più per scoraggiare l’elettore già abbastanza svogliato che si chiederà: “Ma perché dovrei votare questi casinisti?” Ma per continuare a ridere potremmo parlare dei temi di campagna elettorale. Si va dalla demagogia da bar, vecchia come il cucco, basata sulla soluzione di tutti i problemi con l’eliminazione delle auto blu, fino alla diatriba su un’Alitalia fritta alla francese o bollita e mangiata da una cordata italiana fantasma, quando tutti sanno che chi se la comprerà ci metterà quattro soldi e ne farà ciò che meglio crede, come nella migliore tradizione delle privatizzazioni forzate, all'italiana.
Promesse contraddittorie che cadono come macigni sui poveri italiani: stiamo andando verso la crisi e la recessione ci aspetta dietro l'angolo, ma diminuiremo le tasse e aumenteremo i salari dei meno abbienti. Il petrolio e l' Euro stanno salendo vertiginosamente ma abbasseremo prezzi e tariffe…Ci sfigureremo tutti con la fiamma ossidrica e grazie alle ustioni di sesto grado diventeremo tutti bellissimi. Elezioni! Speriamo di venirne fuori presto e il meno preggio possibile.
Mi ricordo di una canzone di Giorgio Gaber che parlando di elezioni come strumento massimo della libertà e della democrazia ci faceva quasi commuovere. Ora come ora la sensazione è ben altra e a molti di noi monta la nostalgia di un’Italia che all’Italia ci credeva ancora.
Ma di questo passo il brand del nostro Paese dove va a finire? Perdipiù considerando la regola per cui quando si emerge per qualità ed eccellenza il ricordo svanisce in fretta, ma quando ci si copre di ridicolo, dentro e fuori i confini, è più difficile far svanire la sensazione negativa.

E noi uomini della comunicazione, che cosa possiamo fare per dare un contributo al recupero della nostra immagine nazionale, interna ed esterna?
O si tratta di una battaglia persa in partenza che non vale neppure la pena di essere intrapresa?


Mario Morales Molfino


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