venerdì 15 febbraio 2013

Caso Pistorius: gli sponsors condannano l’atleta paralimpico in tempo di record.

Il fatto ha girato il mondo in pochi minuti e i blog di tutti i grandi e piccoli giornali straripano di commenti; la maggior parte di condanna. Il populismo giustizialista colpisce ancora.
Il Corriere web, dopo il primo lancio del Telegraph, insieme alle notizie di cronaca nera che non vorremmo più di tanto commentare, scrive; “Adesso gli sponsor sono in fuga, ma appena l’estate scorsa alle Olimpiadi di Londra si facevano i conti su quanto valesse Oscar Pistorius. Su di lui c’erano anche gli occhi di tante imprese. Il numero delle aziende che gli garantivano sponsorizzazioni erano Nike, Bt, Oakley, Thierry Mugler e Össur, per un totale di 2,56 milioni di euro.
Intanto, di fronte al crescente sospetto che l’omicidio non sia stato il frutto di un tragico equivoco, gli sponsor dell’atleta, il primo amputato a correre nelle Olimpiadi dei normodotati, si dileguano. Una tv via cavo sudafricana ha deciso di ritirare la campagna di spot pubblicitari per la ‘copertura’ degli Oscar con il volto dell’omonimo atleta.
Dal sito di Pistorius, inoltre, è stato rimosso un banner della Nike. Il 9 agosto scorso Pistorius era l’ottavo sportivo più pagato dagli sponsor”.
Tutti noi che frequentiamo questa community e ci occupiamo di branding sappiamo quanto valga e renda uno sponsor internazionale come Oscar Pistorius. Riconosciuto e accreditato come super eroe positivo a livello planetario. Sappiamo anche quanti danni possa provocare ad un grande brand  un personaggio come Oscar Pistorius che entra nella storia dello sport come mitico campione e ne esce entra come assassino volontario.
Ma senza voler entrare nel merito per stabilire innocenza o colpevolezza, se omicidio o tragico incidente, ho la sensazione che così come con troppa superficialità si investe su uno sponsor, non tenendo conto che é anche una persona, con altrettanta rapidità ci si smarchi, ancor prima di aver capito e chiarito le sue responsabilità. Ma in questo periodo in cui incombe dall’ovunque il giustizialismo populista, si taglia la corda a tempo di record da chi fino a ieri chiamavi eroe, fratello, amico… e chi più ne ha e più ne metta. Una modalità da “tagli orizzontali” che, almeno secondo me, non illumina gli uffici marketing delle grandi majors multinazionali coinvolte. Protagonisti del rutilante mondo della comunicazione ipermediale che forse per vile comodità e faciloneria non si fermano a valutare quale può essere la mossa strategica economicamente più utile e magari, anche umanamente ed eticamente più conveniente. Certo è più facile darsela a protesi levate. Business it’s business docet.
Con questo non voglio dire che se Pistorius é colpevole non debba pagare i sui conti con la giustizia e con la società, ma un poco di buon senso consiglierebbe di approfondire la differenza tra Incidente, fatalità e omicidio volontario. Soprattutto quando il reato di cui é accusato non ha nulla che fare con il motivo per il quale è diventato un super eroe.
Ma vorrei fare due considerazioni non di riporto: Johannesbourg è una città in cui ho bazzicato per lungo tempo e posso personalmente confermare che il problema della sicurezza personale è spesso e malvolentieri vissuto come un incubo, certamente capace di ossessionare, soprattutto una persona che si sente fisicamente indifesa. Una realtà imparagonabile persino ai peggiori quartieri emarginati e malavitosi che conosciamo in Italia. Scampia e Via Prè sono un allegro luna park al confronto. Mentre la polizia sudafricana postapartheid, non brilla certo per qualità dell’intelligence investigativa.
Consiglierei quindi qualche ora di riflessione prima di sparare condanne come fossero bignè alla crema e poi, sulla base dei fatti provati o almeno evidenti, deciderei se togliere, come e quanto, la fiducia a chi fino a ieri onorava ed elevava a mito i grandi  marchi dello sport, trasformandoli in  brand eroici.